Monday, April 10, 2017

Divorami

"Divorami"
Credevo di essere solo. Lo speravo. Una figura stava distesa sul letto.
Era certamente umanoide e per un gioco di luci appariva come bianca e nera.
Tra il buio della stanza e le luci della città addormentata, spaccata a metà da una linea di tutte le sfumature di grigio, le labbra ben definite sussurravano
"Divorami".
La mia mano era ancora sulla maniglia. Non mi aspettavo di rivedere questa scena. Una parte di me era già fuori, in strada, correva, mentre l'altra non poteva muoversi. Paralizzata da una paura antica ed un'attrazione sconosciuta che partiva da ogni nervo del cervello, percorreva tutto il corpo fino a mettere radici al suolo. Non sarei potuto durare a lungo, mi sarei spezzato in due.
"Divorami".
Per minuti che parvero interminabili rimanemmo lì, immobili. Solo le tende alla finestra ondeggiavano al sussurro della città morta. Quando riuscì a muovermi per voltarmi ed andarmene, mi irrigidì quando pronunciò poche parole.
"Non andartene".
Mi chiusi la porta alle spalle con un suono secco che echeggiò per il corridoio vuoto. A destra, a sinistra, nient'altro che eco e porte. Davanti a me, ai miei piedi, un biglietto. Lo raccolsi.

"Vorrei che mi amassi, solo per poterti fare del male"

Friday, August 7, 2015

We were there

I was here
and so did you
the palest ghost i'll ever know
and i was here
and you were too
the city of dust the wind can't blow
and walking here
where you walked too
i wonder if we shall meet again
just right in time
and right in space
is there a chance to be together
again?

Il canto del porto

Il canto del porto
campane di vetro
suonate dal vento
un grido nel cielo

Il gabbiano sospeso
da un filo di fiato
volteggia leggero
sul palco assolato

E libero dal tempo
con profumo di pioggia
concludon il concerto
gli applausi del mar

Friday, July 17, 2015

Duello


Era proprio un bel giardino, quello. Le alte mura di mattoni che lo circondavano davano la sensazione di trovarsi in tutt' altro luogo, che al centro di una cittadina. Il suono della strada vi giungeva attutito e il calore di quel pallido sole estivo veniva scacciato. Lasciando spazio a delle flebili correnti d'aria di insinuarvisi.
Cinque alberi sempreverdi cooperavano a fornire un' aria di fresca lontananza, assieme alla vecchia fontana di pietra coperta di muschio e abitata da pesci rossi e tartarughe.
Era su una delle quattro panchine di pietra, quella disposta tra due tronchi, che volgeva all' acqua, che sedeva sempre il secondo uomo più vecchio vivente del mondo.
Gianfranco Spingarda aveva l' abitudine di recarsi lì a riposare. La sua quotidiana passeggiata del pomeriggio si concludeva sempre a quel modo. Con il solido e usurato bastone appoggiato al proprio fianco ad osservare i pochi piccioni vagabondi giunti ad umettarsi il becco.
Sedeva in quel placido angolo del paese a godersi la pace. Ben pochi si ricordavano, o notavano, l' esistenza di questo piccolo rifugio. Ed egli era ben contento di prendersi una pausa in solitudine.
Portava con se, insolitamente, un sacchettino di carta, dall' aspetto leggero e contenente un pacchetto incartato con cura. Suonate le cinque, all' ultimo rintocco raccolse il bastone e si alzò.
Si diresse, come ogni pomeriggio, al bar situato all' angolo della piazza principale del paese, dove venne accolto con un gioviale saluto dal suo vecchio compagno, Sergio Branda. L' uomo più vecchio vivente del mondo.

"Holià! Gianfranco. Che si dice?"
"Cosa vuoi che si dica? Nulla di buono"
"Ah, hai sentito anche tu di Angelica?"
"Eh, per forza, anche lei aveva la sua bella fama"
"È davvero un gran peccato. Ma ormai abbiamo tutti una certa età"
"Mi vien da ridere a pensare che discutevamo sin dalle elementari su chi fosse più vecchio"
"Mammia mia! Quante litigate"
"Massì, cresciuti abbastanza da capire che non contava solo l' anno siamo andati benone poi"
"Ma tè la sentivi più l' Angelica?"
"Ma no. Dopo che si è trasferita che vuoi farci, ci siamo persi di vista"
"Eh ha avuto il suo gran da fare, da quando s'è presa il primato"
"Ma che presa e presa, è capitato. Come è capitato a te oramai"
"Già. Già"
"Ma quindi? È già cominciato?"
"Sì, sì. È già cominciato. che vuoi farci"
"Ma pensa, ti ho presa giusto giusto una cosa"
"Ma dai! Anche io!"
"Tiè, apri. Apri"

Gianfranco, lestamente, porse la scatolina che stava nel sacchetto di carta all' amico, che non fece quasi nemmeno in tempo ad estrarre il proprio pacchetto. Sergio, lentamente e con la mano tremante, prese il dono che gli veniva porto, lasciando il proprio sul tavolino.
Si rigirò la scatoletta tra le mani, come a saggiarne il peso. Guardò per un momento Gianfranco negli occhi e, con un sospiro, aprì.
La faccia gli divenne come di pietra e le ossa si irrigidirono. Le mani cominciarono a tremare convulsamente mentre la bocca gli si spalancava in un urlo muto. Via via più grottesco. Gli occhi avevano dimenticato come si facesse a far battere le palpebre. Il volto era sempre più inumano.
Si accasciò.
L' uomo più vecchio vivente del mondo si alzò, raccogliendo il regalo ancora incartato.Lo buttò nel cestino.
Lasciò il proprio bastone appoggiato al tavolo.

Monday, May 19, 2014

Mi sono svegliato già morto

Caduto per terra, mi sono svegliato
che sogno, che strano, mi son domandato
la testa spaccata da un nero vessillo
caduto nel fango che taccio, mi assillo
spaventato mi corro e comincio ad alzarmi
non vedo le ossa al posto di carni
inciampo, malato, caduto nel misfatto
un carro traballante mi ha gettato dal basso
testa evirata e vermi scadenti
dov'è la mia amata? dov'è, miscredenti?
io sogno e barcollo, taccio e non mollo
dov'è la mia lingua, dov'è il mio cervello?
Ma prima di trovare risposta cattiva
putrefatto piede inciampa in pietra, giuliva
ridacchia il sasso nero e smussato
la lapide di una dama, quella che ho amato?
e vedo e leggo, che frase! Che orrore!
Qui giace la dama che m'ha preso il cuore
lo sento pulsare al di sotto del suolo
malato la osservo per ore. Sorvolo.
Non noto la distesa imminente
di corpi amati caduti nel niente
che giacciono, visi sereni, addormentati
mangiati da vermi, cani, morti e malati!

Sunday, May 4, 2014

Dialogo del signor Se Stesso

"Toc toc".
"Chi è?".
"Mh?".
"Ho detto chi è".
"Chi è chi?".
"Tu! Hai detto toc toc, no?".
"E allora?".
"Beh di solito si bussa, si chiede chi sia, si da una risposta e si fa una battuta stupida..."
"E chi ha bussato?".
"Ma tu!".
"No, io ho detto toc toc".
"E non era l' onomatopeica per indicare il bussare?".
"Aaaah, ora capisco, chiaramente hai percepito il mio toc toc nella maniera a cui sei più abituato, sbagliando tutto il dialogo."
"E quindi il toc toc?".
"Mh?".
"A cosa si riferiva?".
"Ah, ad un bastone".
"Oh, mi scusi".
"Perché adesso mi dai del lei?".
"Beh perché pensavo...".
"Pensavi sbagliato. Credi che solo perché abbia il bastone sia vecchio o con dei problemi? Mi piace solo portarlo!".
"Con lei... te, non ci parlo più".
"Oh, mi sa che ti toccherà farlo invece".
"...".
"Guarda qui".
"Che cos'è?".
"È una fossa".
"Lo vedo anch' io che è una fossa, ma che ha di speciale?".
"È la fossa dei ricordi perduti, sia quelli dimenticati, sia quelli che hai deciso di dimenticare".
"Ma è vuota...".
"Guarda meglio!".
"...".
"Sai qual'è la differenza tra ricordi dimenticati e i ricordi che hai scelto di dimenticare?".
"Sentiamo...".
"Quelli che hai scelto di dimenticare non gli hai dimenticati".

* URLA *

Saturday, May 3, 2014

La torre e l' alfiere

C'era una volta, in un luogo molto lontano, un regno non molto diverso dal nostro. Aveva campi e vallate, colline verdeggianti e boschi rigogliosi, montagne e pianure e laghi cristallini. Il paesaggio però aveva qualcosa di leggermente diverso dal nostro, poiché era tutto suddiviso in tanti quadrati, tutti di dimensioni uguali ma di colore diverso, si alternavano in chiaro e scuro. Dove c'era dell' erba verde chiaro subito accanto se ne poteva trovare un angolo più scuro, e lo stesso per le strade e le montagne.
Aveva anche un' altra particolarità questo mondo, perché i suoi abitanti non potevano scorrazzare in giro come faremmo noi, a piacimento e senza rigore; no, le persone che vivevano in questo mondo si muovevano seguendo le ferree regole degli scacchi, proprio perché erano... scacchi! C'erano pedoni, e alfieri, e cavalieri e torri, e regine e re! Tutti i pezzi della scacchiera, insomma.
Era però un luogo in eterno conflitto, dove bianchi e neri combattevano ovunque, proprio non sopportavano il solo vedersi! E così sanguinosi incontri avvenivano continuamente.
Un giorno il re nero chiamò il suo più fedele Alfiere (quello che sedeva alla sua sinistra) per affidargli una missione di esplorazione nei territori dei bianchi.
Egli era un valoroso combattente e stratega, reduce di tante missioni simili, si era guadagnato il più alto rango nella gerarchia militare degli scacchi. Accettò con fervore la missione, desideroso di uccidere altri bianchi, la cui vista proprio non poteva sopportare.
Così partì, con un drappello di pedoni, verso la meta della sua missione: una collina di rilevante importanza strategica.
Poco prima di raggiungere il luogo però, lui e il suo gruppo caddero vittime di un' imboscata mentre stavano attraversando un bosco. Lo scontro fu violento e sanguinoso e tutta l' unità dell' Alfiere fu sterminata, tranne lui.
Rimasti pochi avversari si fece coraggio e, grazie all' abilità e all' esperienza guadagnate sul campo, riuscì a sconfiggere gli ultimi bianchi.
Stanco e ferito si guardò in torno per essere sicuro di averli uccisi tutti, fu così che notò un movimento tra i cespugli e, con le poche forze rimaste, vi si scaglio contro.
Aveva indovinato. Tra le frasche stava nascosta una Torre bianca, ferita leggermente, che tentava di scappare. Stava quasi per colpirla quando qualcosa lo bloccò; aveva visto molte torri nella parte del regno dei neri, ma mai qualcuna era risaltata così ai suoi occhi. La lucentezza e la morbidezza delle forme avevano qualcosa che lo incantò. Riuscì quindi a fermarsi dal colpirla e la aiutò ad alzarsi.
Lei da prima fu restia, ma capì presto che voleva davvero aiutarla, lui le disse di fuggire e lei lo fece.
Qualche giorno dopo l' Alfiere non poté fare a meno di tornare in quel bosco, il ricordo di quella splendida Torre lo tormentava e pensò che forse lì avrebbe potuto trovare un po' di pace. Ma quale gioia fu quella di scoprire che anche lei era lì! Le corse incontro salutandola e l' abbracciò, ma ci misero poco a scoprire che, nonostante tutto, non potevano guardarsi negli occhi! gli alfieri si muovono solo in diagonale e le torri solo su linea retta, anche il loro sguardo era bloccato verso quella direzione e quindi non avrebbero mai potuto guardarsi entrambi in viso.
Comunque da quel giorno presero a incontrarsi sempre in quel luogo ad un' ora stabilita, per ridere, scherzare e amarsi, nonostante tutto.
Un giorno però la regina nera, che era molto gelosa dell' Alfiere, si insospettì di tutte quelle uscite che egli faceva, così mandò il suo Alfiere di fiducia (quello che sedeva alla propria destra) a spiarlo; e quando scoprì il perché di quelle escursioni quotidiane la sua rabbia fece tremare le mura del castello. Quando si calmò pensò ad un piano per sbarazzarsi di quella odiosa Torre bianca e il giorno seguente mandò l' Alfiere del re a fare delle commissioni, mentre inviò il proprio Alfiere al luogo dell' appuntamento con la Torre. Lei poverina restò ingannata perché gli alfieri erano perfettamente identici e fu convinta a seguirlo in un luogo dove venne assalita e arrestata dai pedoni neri.
Puoi immaginare quale fu la reazione dell' Alfiere del re, quando tornò dalle commissioni ordinate dalla regina, e scoprì che la sua Torre era stata fatta prigioniera e che sarebbe stata giustiziata all' alba del domani.
Quando calò la notte decise di intrufolarsi nelle segrete del castello e approfittando del buio e del suo colore nero, uccise silenziosamente le guardie e liberò la Torre.
Ma non appena uscirono dalla prigione la Torre venne illuminata dalla luna è mandò un bagliore bianco che allertò le guardie che rincorsero i due amanti e li catturarono.
All' alba del giorno dopo si tenne l' esecuzione dei due sfortunati amanti. Una folla enorme era venuta ad assistere al primo tradimento della storia del mondo degli scacchi.
Quando il boia chiese loro se avessero un' ultimo desiderio risposero, tra lacrime e dolore, “vorrei poterlo vedere negli occhi”; e tutti quanti risero, risero perché sapevano quanto ciò fosse impossibile! E nell' ilarità generale la lama del boia calò sul capo dei tristi innamorati.
Quando si risvegliarono il mondo che apparve ai loro occhi sembrava più colorato, più dolce, e si guardarono intorno straniti: erano morti? Non lo notarono subito ma videro entrambi di non essere più neri o bianchi e di riflettere tutti i colori del paesaggio e, che gioia fu, quella di scoprire che finalmente riuscivano a guardarsi negli occhi! Allora capirono che quel posto non era più una scacchiera e che potevano finalmente muoversi liberamente! Si baciarono intensamente, e a lungo, per poi dirigersi lontano, verso il rosso orizzonte, dove avrebbero potuto amarsi per sempre.